Don’t worry – Recensione

John Callahan (Joaquin Phoenix) è un giovane alcolista: a una festa incontra Dexter (Jack Black), con cui si prende una sbronza colossale. Completamente ubriachi, si mettono in macchina per raggiungere un altro party e hanno un terribile incidente, che lascia John sulla sedia a rotelle dopo un grave incidente stradale, causato da una sbornia notturna. Durante la difficile riabilitazione, conosce una ragazza (Rooney Mara), che lo incoraggia a disintossicarsi dall’alcol, con l’aiuto di un carismatico sponsor (Jonah Hill): il suo difficile percorso lo porta a scoprire un gran talento come vignettista satirico. Dopo “Milk”, Gus Van Sant torna al biopic con “Don’t worry”, la storia vera di John Callahan, il celebre fumettista di Portland rimasto paralizzato a 21 anni dopo un incidente automobilistico e scomparso nel 2010. Il film è incentrato sulla performance affascinante di Joaquin Phoenix, che meriterebbe un’Oscar per ogni film in cui recita (vedi “A beautiful day”): l’attore fagocita il resto del cast con l’interpretazione magistrale di un personaggio politically uncorrect come Callahan, irriverente e a volte scabroso, capace di prendere in giro la sua stessa disabilità e altri temi sensibili nelle vignette pubblicate dal 1983 al 2010 sul settimanale di Portland, “Willamette Week”.

“Don’t worry (He won’t get far on foot)” presenta più timeline che si sovrappongono l’un l’altra: c’è Callahan nei panni di un giovane alcolizzato, prima dell’incidente che lo ha inchiodato su una sedia a rotelle. Poi c’è Callahan nel recupero immediato, dove è aiutato dalla terapeuta svedese Annu (Rooney Mara), un’eterea apparizione della quale si innamora. Poi c’è Callahan che frequenta con scetticismo gli alcolisti anonimi, dove incontra lo sponsor-guru Donnie (Jonah Hill). Infine, c’è Callahan il fumettista, che esorcizza i suoi demoni attraverso le vignette che lo renderanno famoso. Gus Van Sant rende vive sul grande schermo le celebri illustrazioni del vignettista, con un’animazione che si integra nel mondo reale e che mostra come molte delle vignette di Callahan si siano ispirate alla vita di tutti i giorni. Pur essendo lontano dalla perfezione, Gus Van Sant ritorna nella sua Portland (dove aveva ambientato “Paranoid Park”) per confezionare un biopic non convenzionale, che evita i cliché o la lacrima facile e cerca di raccontare la bellezza della vita attraverso gli occhi di chi credeva di aver perso tutto ma che invece riesce a trovare la sua strada… anche se a piedi non andrà lontano.

Monica Scillia