La ragazza nella nebbia – Recensione

Ha deciso di portare sul grande schermo “la storia che i miei lettori hanno amato senza tradirla, il primo giorno sul set ho ucciso l’autore e me ne sono sbarazzato così trasformando la storia in un film ho attinto a tutto quel cinema che mi piaceva, copiando come ogni buon regista deve fare“. Donato Carrisi ha presentato così la sua creatura, che lo ha visto esordire come regista. “La ragazza nella nebbia” porta, infatti, in sala le atmosfere e i personaggi delle storie di Carrisi e per chi non conosce i romanzi dello scrittore pugliese (ma promettiamo di recuperare presto!) è un esordio piacevole e sorprendente.

Tutto si svolge in un piccolo paese di montagna, Avechot, di quelli dove tutti conoscono tutti, ma li spiano da dietro le finestre, e le giornate scorrono lente, ripetitive, grigie. Ad Avechot sembra essere sempre inverno, 365 giorni l’anno, con quella nebbia fitta che la sera avvolge tutto e tutti. Proprio nella nebbia accade l’episodio che muove le fila della pellicola: un uomo (Toni Servillo) ha un incidente in auto, ne esce illeso, ma ha gli abiti sporchi di sangue. E non si sa quel sangue di chi sia. Nel corso della sua chiacchierata con lo psichiatra della zona (Jean Reno) si scoprirà che l’uomo dell’incidente è un famoso commissario di polizia, Vogel, che ha un conto in sospeso con quei luoghi, con il suo passato lavorativo e con la stampa. Ripercorrendo le sue ultime ore di viaggio si arriva alla storia di Anna Lou, una ragazzina di 16 anni scomparsa pochi giorni prima del Natale. Tanti misteri sono avvolti attorno alla sua vita da 16enne, apparentemente fin troppo normale. Tanti misteri ruotano attorno alla vita di Avechot, che da paese dimenticato dal mondo diventa presto il punto di ritrovo di giornalisti, televisioni e media. Non rimane altro che trovare il colpevole, il “mostro” da sbattere in prima pagina. Lo vuole Vogel, lo vogliono i genitori di Anna Lou, lo vuole una comunità pigra e metodica, che trascorre le proprie giornate nei boschi o alla confraternita religiosa. Solo Vogel può portare a galla la verità, e farlo nei modi e nei tempi giusti. Basta aspettare e saper cogliere l’attimo, anche se quell’attimo potrebbe arrivare troppo tardi, perché “il peccato più sciocco del diavolo è la vanità”…

Grazie a una sceneggiatura dettagliata, a un ottimo cast e ad ambientazioni quanto mai azzeccate, lo spettatore viene guidato in un trama complessa ma non contorta, in un crescendo di rivelazioni e soluzioni apparenti. Toni Servillo è impeccabile nel ruolo del commissario in cerca di rivalsa, Alessio Boni interpreta a dovere il cupo e ambiguo professore, Galatea Ranzi è un’ottima giornalista tv, a caccia di gossip e senza scrupoli. I tanti aspetti sviscerati dalla trama di Garrisi, dalla vita di una piccola comunità al rapporto indagini-notizia-stampa, non confondo lo spettatore ma arricchiscono una storia che in poco più di due ore tiene incollati allo schermo. Nella fitta nebbia e negli occhi cupi dei protagonisti si nasconde il vero mistero di Avechot, perché come ricorda lo stesso professore (Boni): “Non sono gli eroi che determinano il successo di un’opera, è il male il vero motore di ogni racconto”.

 

Sonia Arpaia