Light of my life – Recensione

Questo film parla di un padre che cerca di crescere una figlia: ogni genitore sa che il mondo è pericoloso, vorrebbe proteggere i propri figli, e insegnare loro a farlo da soli”. Casey Affleck racconta così il suo “Light of my life” che arriva oggi, 21 novembre, nelle sale italiane. Accolto positivamente al Festival Internazionale del Cinema di Berlino e all’ultima Festa del Cinema di Roma, nella sezione autonoma dedicata ai ragazzi, Alice nella Città, “Light of my life” è il secondo lungometraggio da regista di Casey Affleck, dopo il mockumentary del 2010 “Joaquin Phoenix – Io sono qui!”.

Il film – che vede Affleck anche nel ruoto di protagonista – ruota attorno all’intenso rapporto padre-figlia. “Ho cominciato a scrivere questa storia quando già ero diventato padre, quando il mio primogenito aveva quattro anni – ha raccontato Affleck in conferenza stampa, lo scorso 3 novembre a Roma – Quando ho finito ne aveva dodici, e il mio secondo figlio quattro. Scrivevo cose che mi venivano in mente partendo dalla mia vita, e dal mio rapporto con i figli, accumulando frammenti, inserendo dialoghi che avevo avuto con loro, altri che avrei voluto avere, altri ancora che avevo avuto e avrei preferito non avere”.

A rendere particolarmente intenso e diverso il rapporto tra i due è il mondo che li circonda: un futuro post-apocalittico, nel quale la piccola Rag e suo padre sono costretti ad una vita nomade dopo essere sopravvissuti a un’epidemia che ha decimato la popolazione mondiale e sterminato, quasi completamente, quella femminile. Soli contro tutti, o meglio contro chi è rimasto e sta tentando di ricominciare. Tra fughe nel bosco, nascondigli di fortuna, sguardi diffidenti si snoda la storia di un padre che cerca di proteggere la figlia dal mondo intero. Il loro viaggio, la loro fuga, rappresentano apparentemente l’unico mezzo per proteggersi. “Raccontare tutto questo nel contesto distopico di questa epidemia, in una situazione ancora più pericolosa per la ragazzina, rendeva ancora più difficile il compito del mio personaggio”, ha spiegato ancora Casey Affleck che, nel doppio ruoto di regista e protagonista, porta sul grande schermo un personaggio intenso, un uomo forte ma devastato, nel quale il dolore di quanto visto e vissuto e l’amore assoluto per la propria figlia si mescolano costantemente. Una storia intima, dove all’infinito affetto e alla fiducia che legano i due si contrappongono l’odio e la diffidenza dei “sopravvissuti”.

L’ambientazione apocalittica non lascia, però, spazio a scene d’azione o dettagliati scenari post-distruzione, ma fa da sfondo a un rapporto estremamente delicato tra i due, vista anche l’età di Rag, spontaneo e forte, fatto anche di lunghi silenzi, momenti di grande tenerezza. Una dolcezza che si contrappone all’improvvisa violenza del protagonista, che scatta quando è il momento di difendersi dal mondo esterno e dal resto dell’umanità. Nel ruolo della piccola Rag c’è la giovane Anna Pniowsky, che conquista con il suo sguardo e i suoi modi di fare amorevoli ma duri allo stesso tempo. Perché il viaggio di “Light of my life” non è soltanto quello di un padre che farebbe di tutto per proteggere la propria figlia, ma anche quello di una piccola donna che sta crescendo e che sa già prendersi cura del proprio padre.

 

Sonia Arpaia