Monolith – Recensione

Monolith: spinto al cinema da un ferragosto solitario, un incauto appassionato di fumetti si reca a vedere il film tratto da una sceneggiatura di autori Bonelli. Delusione cocente, mal gliene incolse. In particolare male ha fatto a lasciarsi sedurre da locandina, stile dello sceneggiatore – Recchioni – e mini trailer tv: da episodici indizi – una attrice bionda nel deserto con suv ipertecnologico a disposizione – uno si aspetta qualcosa che incroci “Mad Max”, “Kill Bill”, “Le Colline hanno gli Occhi” e magari una strizzata d’occhi ad “Atomica Bionda”.

Invece il tutto si sviluppa in una versione allucinata della signora sotto casa che va a fare la spesa, dimentica il figlio in macchina e perde le chiavi (tra l’altro il tema della macchina ipersicura che si trasforma in trappola era accennato anche ne “Il Belpaese” con Paolo Villaggio del 1977). Il tutto condito da pianti di bimbo, urla isteriche della madre, che mostra una personalità con cui poco si riesce a empatizzare: come passare un’ora e mezza in uno scompartimento di treno con bimbo sofferente, esperienza che francamente non consiglio neanche gratis.

Per almeno tre volte durante il film sono partiti dallo spettatore tre supersbuffi capaci di fornire energia eolica a una cittadina di medie dimensioni, augurando ai personaggi di terminare al più presto l’agonia (condivisa da chi guarda la pellicola). L’unico momento in cui la supermacchina – e il film – fanno ciò che ci si aspetta è negli ultimi 5 minuti: un po’ poco. Dei super paesaggi conditi da commento musicale elettronico molto “uanasgheps” ci si può fare la birra. A questo punto non so se mi arrischierò mai a leggere il fumetto, che però ha i vantaggi di non martoriarti le orecchie con urla e strilli di infante e che puoi comunque scegliere di velocizzare sfogliando più o meno velocemente.

 

Paolo Giannace