Se La Strada Potesse Parlare – Recensione

Barry Jenkins ci riprova, e dopo il premio Oscar nel 2017 al miglior film con “Moonlight”, torna con “Se la strada potesse parlare“, ispirato al romanzo del 1974 di James Baldwin “If Beale Street Could Talk”, e presentato in anteprima all’ultima Festa del Cinema di Roma. Jenkins mantiene lo stesso titolo del romanzo originale per raccontare la storia della diciannovenne Tish (Kiki Layne) e del suo fidanzato Fonny (Stephan James), del futuro che sognano e provano a costruire insieme e del loro presente, molto più duro da affrontare. Quando Fonny viene arrestato per un crimine che non ha commesso, Tish, che ha da poco scoperto di essere incinta, fa di tutto per scagionarlo, con il sostegno incondizionato di parenti e genitori. Il tempo passa ma la ragazza non perde la speranza, e lotta con fermezza per il suo futuro e quello della sua bambina.

L’obiettivo di Jenkins è lo stesso di Baldwin: rappresentare come viene trattata una famiglia di colore negli Usa. Una rappresentazione che va oltre il tempo, che si tratti degli anni ’70 o dei giorni nostri. In questo caso Jackins sceglie l’eleganza e la bellezza di Tish, il suo sguardo dolcissimo ma allo stesso tempo molto determinato, per farci vedere da vicino quello che accade. “Né l’amore né il terrore rendono ciechi: l’indifferenza rende ciechi“, scrive Baldwin nel suo romanzo. Così la storia di Tish e Fonny non spinge solo a guardare, ma anche a riflettere e soprattutto ad agire di fronte alle ingiustizie e alle difficoltà.

Essendo la prima persona ad assumermi la responsabilità della trasposizione cinematografica di un romanzo di Baldwin nella sua lingua madre, il mio obiettivo è stato quello di raffigurare quei personaggi avvicinandomi il più possibile all’immaginario del loro autore. I due rapporti che costituiscono il fulcro del film — quello tra Tish e Fonny e quello tra Sharon e Joseph (i genitori di Tish, ndr) — sono caratterizzati da quell’incantevole poesia degli scambi interrelazionali che, per la gente di colore, funge da paraurti rendendo l’esistenza meritevole di essere sopportata, rendendo la promessa infranta del sogno americano degna degli sforzi necessari al suo perseguimento”, ha spiegato il regista.

Già premiato con un Golden Globe (miglior attrice non protagonista), due Critics’ Choice Movie Award (miglior sceneggiatura non originale e miglior attrice non protagonista), due Satellite Award (miglior film e miglior attrice non protagonista), un National Society of Film Critics Award (miglior attrice non protagonista) e un New York Film Critics Circle Award (miglior attrice non protagonista), “Se la strada potesse parlare” ha ricevuto tre nomination agli Oscar: sceneggiatura non originale, colonna sonora e attrice non protagonista (Regina King, che interpreta Sharon, la madre di Tish).

Sonia Arpaia