1917 – Recensione

“Volevo percorrere ogni passo al fianco di questi ragazzi, sentire ogni loro respiro, ed è per questo che, insieme al direttore della fotografia Roger Deakins, ho realizzato 1917 come un’esperienza totalmente immersiva. Abbiamo concepito il film in modo tale da avvicinare il pubblico il più possibile alla vicenda dei protagonisti. E’ stato il lavoro più emozionante della mia carriera”. Sam Mendes descrive così il suo 1917, che arriva oggi, 23 gennaio, nelle sale italiane, accompagnato da dieci candidature agli Oscar e a due Golden Globe già conquistati, miglior film drammatico e miglior regista. Ma i premi e gli applausi della critica non bastano a descrivere la grandezza della pellicola di Mendes, che è un war movie certo, ma non come siamo abituati a immaginarlo e vederlo sul grande schermo. Il regista di “American Beauty”, per la prima volta anche sceneggiatore del suo film, va oltre, realizzando un film di guerra, sulla guerra, nella guerra. Un film che, senza scene di battaglie epiche, coinvolge e avvolge completamente lo spettatore. 

La storia è quella dei caporali Schofield (George Mackay) e Blake (Dean-Charles Chapman), dell’8° Battaglione che si trova nel Nord della Francia. Due soldati britannici legati da una forte amicizia, che si troveranno ad affrontare assieme qualcosa di inaspettato e inimmaginabile. Non la morte di un soldato, non una dura battaglia, ma un viaggio attraverso la Terra di Nessuno per consegnare al Colonnello Mackenzie (Benedict Cumberbatch) una lettera da parte del Generale Erinmore (Colin Firth) e salvare così centinaia di commilitoni da morte sicura per opera dei tedeschi. Una corsa dove il vero nemico è il tempo, un’impresa apparentemente impossibile, con i tedeschi a pochi passi, le trincee sventrate e i campi pronti a saltare in aria. 

Una storia e una trama apparentemente lineari, che Mendes ha deciso di raccontare non soltanto ispirandosi alla storia di suo nonno, che durante la Prima Guerra Mondiale ha vissuto un’esperienza molto simile a quella dei due caporali, ma “per esplorare lo spirito che la permeava, gli eventi vissuti da quegli uomini, i loro sacrifici, cosa voleva dire credere in qualcosa che andava al di là di se stessi”, ha spiegato lo stesso regista.

Per farlo e per catapultare lo spettatore accanto ai soldati inglesi, tra le trincee e i villaggi a fuoco, con il nemico a pochi passi, Mendes utilizza un’unica sequenza senza interruzioni, un’unica ripresa che consente al pubblico di stare accanto ai due caporali nel loro viaggio. Il film non è stato girato, ovviamente, in un’unica ripresa, ma attraverso una serie di riprese lunghe e ininterrotte, successivamente collegate tra loro. Una tecnica legata alla volontà del regista di raccontare la storia in tempo reale, e perfettamente riuscita anche grazie al lavoro impeccabile del direttore della fotografia Roger Deakins (premio Oscar per “Blade Runner 2049”). 

Così 1917 diventa un film che coinvolge e immerge in quei giorni convulsi, spaesati e, in alcuni momenti, senza senso. E lo fa accompagnando i protagonisti, nella loro corsa contro il tempo, tra i loro sguardi persi nel vuoto e stracolmi di interrogativi. Sguardi persi proprio come quello del Colonnello Mackenzie che, alla domanda del giovane Schofield risponde: “Questa guerra può finire solo in un modo. Vince chi sopravvive”.

 

 

Sonia Arpaia