7 Sconosciuti al El Royale – Recensione

Questo è un film che parla di dualità e del fatto che niente è quello che sembra”. Parola di Drew Goddard che al Festival del Cinema di Roma ha presentato “7 Sconosciuti al El Royale”, film di apertura della kermesse, da oggi nelle sale italiane. Goddard, già apprezzato dietro la macchina da presa per “Quella casa nel bosco”, racconta, da regista e sceneggiatore della pellicola, di sette estranei, ognuno con un passato da nascondere e un segreto da proteggere, che si incontrano all’El Royale sul lago Tahoe, un curioso e fatiscente hotel al confine tra California e Nevada. In quella notte, al confine tra due stati, tra le mura di quel luogo estremamente misterioso e a tratti inquietante, le loro vite avranno una svolta decisiva e li metteranno di fronte a un’ultima possibilità di redenzione.

“Il dualismo è un elemento essenziale in tutto del film, anche nelle sue scenografie”, ha spiegato Goddard. E si rispecchia anche nell’hotel, nella sua struttura, divisa nettamente in due da un confine ben definito, tra California e Nevada, tra libertà e illegalità. Un dualismo che ciascun personaggio porta avanti, tra finzione e verità, detto e non detto, vita e morte. “Mi piace raccontare personaggi, avere a che fare con tante personalità diverse e qui si parla di sette persone molto diverse le une dalle altre, che in fase di scrittura si alternavano nella mia mente e dettavano ritmi e modi della storia, che emergevano uno dopo l’altro per farsi conoscere e raccontare”, ha detto ancora Goddard. E in effetti l’evoluzione dei personaggi di “7 Sconosciuti al El Royale” (titolo originale “Bad Times at the El Royale”) è proprio questa: si presentano, per poi rivelarsi quello che non sembravano essere, si svelano, e si mascherano nuovamente, in un’evoluzione che trascina lo spettatore al ritmo della musica anni ’60, sparata dal vecchio juke box di El Royale.

Jeff Bridges, Cynthia Erivo, Dakota Johnson, Jon Hamm, Chris Hemsworth, Cailee Spaeny, Lewis Pullman interpretano i setti sconosciuti, tutti a proprio agio in ruoli tanto diversi, sopra le righe, oscuri. Goddard chiude i suoi sette sconosciuti in uno spazio stretto e limitato dove saranno costretti a fare i conti con i propri istinti e il proprio passato: evidente il richiamo, ammesso dallo stesso regista, a Quentin Tarantino, ai suoi “The Hateful Eight” ma anche alla sua filmografia precedente. Quello di Goddard è un chiaro omaggio, che riesce, poi, a vivere autonomamente, grazie a personaggi ben definiti, forti nella loro caratterizzazione e nei loro punti di vista.

 

Sonia Arpaia