Gli anni più belli – Recensione

Giulio (Pierfrancesco Favino), Paolo (Kim Rossi Stuart) e Riccardo (Claudio Santamaria) sono inseparabili sin dall’adolescenza, quando Paolo si innamora di Gemma (Micaela Ramazzotti). Nel corso degli anni, le loro strade si allontanano e si intrecciano: le loro speranze, le loro delusioni, i loro successi e fallimenti sono raccontati da Gabriele Muccino ne “Gli anni più belli”, una grande storia di amicizia e amore, dagli anni Ottanta ad oggi.

A due anni dall’uscita di “A casa tutti bene”, Muccino torna al cinema – ancora una volta “sfruttando” il weekend di San Valentino – con “Gli anni più belli”, ennesimo omaggio a Ettore Scola e al suo capolavoro “C’eravamo tanto amati”. Nel raccontare questa storia d’amore e d’amicizia, Muccino mostra indubbiamente di aver raggiunto la maturità artistica. Il suo stile è come sempre riconoscibile, non mancano i confronti faccia a faccia a cui ha abituato lo spettatore sin da “L’ultimo bacio” e “Ricordati di me”, i matrimoni, le corse in auto.

Ne “Gli anni più belli”, però, anche i suoi personaggi sono più maturi, meno “eccessivi”, merito anche di un cast di indubbio talento. Il terzetto composto da Pierfrancesco Favino, Kim Rossi Stuart e Claudio Santamaria è convincente e affiatato, Micaela Ramazzotti, Nicoletta Romanoff ed Emma Marrone – al suo esordio al cinema – sono perfette, a modo loro, nel ruolo che sono chiamate ad interpretare. Sono convincenti e incredibilmente somiglianti anche i ragazzi che interpretano i protagonisti adolescenti, Alma Noce, Francesco Centorame, Andrea Pittorino e Matteo De Buono.

Le donne, in questo film, non fanno una bella figura: Emma è una madre separata, frustrata e rompipalle, le altre due sono traditrici e manipolatrici. Certo, il regista non risparmia neanche gli uomini, eterni Peter Pan oppure fin troppo ambiziosi. Peccato per i dialoghi melensi e per alcune trovate veramente surreali, come il pappagallino che (forse?) vuole rappresentare il ritorno dell’amore perduto in gioventù.

A differenza di “C’eravamo tanto amati” o de “La meglio gioventù” di Marco Tullio Giordana, “Gli anni più belli” manca di spessore storico-sociale. L’intenzione del regista è contestualizzare i momenti determinanti della storia del Paese, ma non è un risultato che si raggiunge semplicemente mostrando distrattamente in tv le immagini del crollo del muro di Berlino, del lancio di monetine su Craxi, della discesa in campo di Berlusconi e dell’attentato alle Torri Gemelle fino ad arrivare alla candidatura di Claudio Santamaria per il Movimento del Cambiamento (ogni riferimento è puramente casuale?).

Nonostante oscilli pericolosamente tra banalità e originalità, “Gli anni più belli” scorre velocemente e scava nell’anima dei suoi personaggi, strappa qualche risata e qualche lacrima. Merito anche della colonna sonora, con le musiche del premio Oscar Nicola Piovani, impreziosita dal brano di Claudio Baglioni che dà il titolo al film e che chiude la pellicola sui titoli di coda.

Monica Scillia