Hellboy – Recensione

Girare un film tratto da in fumetto non è MAI una passeggiata di salute, meno ancora se si decide di girare prendendo spunto da una storia spigolosa, dalla lunga vita editoriale, dalla fan base vasta e trasversale e per di più facendo il reboot di una pellicola (sequel compreso) tra le migliori uscite fino a qualche anno fa. E invece il nuovo “Hellboy”, nella sua nuova vita in celluloide – con Neil Marshall dietro la macchina da presa e David Harbour dietro corna e protesi in lattice – riesce a essere un buon film, capace di andare su binari diversi ma godibilissimi rispetto alla sua prima versione, mantenendo il giusto mix tra orrore e super-antieroismo.

Un Hellboy più “scassatutto” e rock ‘n’ roll rispetto a quello di Guillermo del Toro, con meno risvolti “romantici” e che bada alla sostanza necessaria a un prodotto da intrattenimento: mostri, demoni, rissoni e pistolettate. Una storia che sembra quasi riproporre gli schemi delle scazzottate di Bud Spencer e Terence Hill – prima scazzottata leggera, scazzottate d’intermezzo più lunghe e con più facce da prendere a leccasaponi, duello finale liberatorio – e che di quel tipo di film ha il pregio di riproporre la leggerezza (e per restare in tema di cinema italiano di genere si segnala anche una involontaria citazione di SuperFantozzi, Decubitus!). Siamo qui per le “cingomme” e per vedere calci in culo e abbiamo finito le gomme.

A dare un contributo fondamentale alla riuscita del film ci pensa la fisicità di Harbour, più imponente e massiccio rispetto a Ron Perlman, ma anche meno cupo, quasi un Jack Black alto due metri e con massa muscolare sopra il quintale. Poco incisiva la presenza in scena dell’antagonista principale, Milla Jovovich (la strega Nimue), delineati velocemente anche gli altri comprimari interpretati da Sasha Lane (Alice) e Daniel Dae Kim (Daimio). Personaggi che – insieme ad altri coprotagonisti del fumetto già suggeriti in scene finali e scene extra – potranno avere maggiore spazio e sviluppi nell’inevitabilissimo (ma non è un’offesa) sequel.

Una che di sicuro tornerà (speriamo) sarà la strega Baba Yaga, creata in grafica computerizzata, ma capace di dare qualche brivido vero. Quindi: un ottimo modo per passare una serata al cinema, anche se non avete letto il fumetto o guardato i primi film, purché siate disposti a tollerare un antieroe caciarone (ma non ai livelli di Deadpool). Un compito reso più facile dalla linearità e secchezza del film, niente digressioni cerebrali, solo un’avventura con il braccio pronto ad alzarsi, facendo le corna, in una cerimonia su schermo dedicata al roccherrollo. One, two, three, four…

 

Paolo Giannace