IT – Recensione (di parte) del fedele lettore di King

Premessa: il Mostro e i bambini

C’è un mostro che vive nelle fogne. Non è di questo mondo e se pure assume forme riconoscibili da chi vive nel mondo, la sua essenza non lo è. Impossibile sapere quando è nato, perché, in che modo, né da quanto tempo possiede ogni centimetro della città in cui (sotto cui) vive. Il mostro ha fame. Indifferenza, odio, cattiveria sono pietanze prelibate, ma il profumo più irresistibile è quello della paura, quella istintiva, primordiale, “pura” e autentica. È per questo che il mostro va matto per bambini e poco-più-che-bambini: menti ancora incontaminate, fantasia fervida, sogni – e incubi – spontanei e potentissimi.

C’è un gruppo di sette poco-più-che-bambini, ragazzini alle soglie dell’adolescenza, alle prese con le prime inquietudini: scuola, bulli, famiglie più o meno assenti, prime cotte, acerbe pulsioni sessuali. Ragazzini svegli ma “perdenti” per la maggior parte dei coetanei. Da quello balbuziente, traumatizzato dalla scomparsa del fratellino, a quello sovrappeso, dal nero all’ipocondriaco e alla tipa carina con una cattivissima reputazione. Le loro strade si incrociano casualmente, o almeno apparentemente, visto che il risultato è un gruppo visceralmente unito fin dal primo incontro.

Bravo Muschietti, ma…

Queste la cornice di It Romanzo e It Film, la griglia indispensabile per raccontare una storia traumatizzante, ma anche di crescita, amicizia, amore e formazione, temi tanto cari al King dell’horror. Pochi, imprescindibili elementi che fanno di “It” 2017 una buonissima traduzione sul grande schermo. Probabilmente non indimenticabile, ma forse più convincente e suggestiva del previsto per ogni nerd che ha trascorso nottate a leggere le 1200 pagine del romanzo. Un risultato ancora più eccellente visto il radicale adattamento di Andrés Muschietti: le intere sequenze inventate di punto in bianco e la rivisitazione di alcuni punti chiave del libro lasciano ben poco spazio alle situazioni originali, senza che per questo Pennywise perda il suo terrorizzante fascino. Solo sfiorato – e forse questa è la mancanza maggiore – l’aspetto “cosmico” della battaglia tra Perdenti e il Clown, l’importanza assoluta della fantasia, del gioco, della magia “infantile” nel duello con il Male (chi ricorda il rituale indiano del fumo e quello del Chüd?).

Impossibile, comunque, non apprezzare la resa visiva di alcuni elementi inventati ex novo o adattati, come l’ambientazione anni 80 (i New Kids on The Block invece del rock’n’roll, i walkie talkie, un pizzico di Goonies) l’incontro di Ben con Pennywise, e le “interferenze” nel programma televisivo a casa del bullo Bowers. Assolutamente sorprendente, poi, la presenza scenica di It-Bill Skarsgård, fine mimo più che clown beffardo, una piccola rivelazione soprattutto per chi non ha mai dimenticato il ghigno malefico e grottesco di Tim Curry nella miniserie del 1990. Piccolo rimpianto finale per le storie appena accennate di Eddie Corcoran e Patrick Hockstetter, magnifiche digressioni nella narrazione del libro… sì, un appunto riservato ai “secchioni” di King; per tutti gli altri, buona visione, ma se vi aspettate un horror classico aspettate il nuovo capitolo di Halloween.

 

Lucia Laudando