L’orso e La domanda di Matrimonio: l’attualità di Čechov diverte Catania

Le commedie di Anton Pavlovič Čechov sono quasi sempre un meccanismo ad orologeria, ma portarle in scena oggi, alle soglie del secondo decennio del terzo millennio, può essere un’arma a doppio taglio. Da una parte c’è una scrittura incalzante e perfetta da sit-com; dall’altra, una distanza dalle tematiche e dal linguaggio cui il pubblico più giovane è abituato ad associare quel tipo di ritmo comico. Per questo, riuscire ad assistere in una sola serata a ben due dei suoi impareggiabili atti unici diventa non solo un grande piacere, ma un vero privilegio. Un privilegio di cui hanno potuto godere i cittadini di Catania e dintorni la scorsa settimana grazie al Teatro L’Istrione che, dal 13 al 15 dicembre, ha rappresentato L’orso e La domanda di matrimonio, per la regia di Filippo Brazzaventre.

La prima opera vede come protagonista Elena Ivanovna Popova, vedova inconsolabile che ha giurato di non uscire più di casa e di non frequentare più alcun uomo in seguito alla morte del marito, nonostante le preghiere del suo domestico Luka. Tuttavia la donna si troverà suo malgrado a dover fronteggiare l’insistenza di un uomo parecchio burbero (o, come anticipa il titolo, “orso”): l’ex ufficiale di artiglieria Smirnov, recatosi da lei per riscuotere un vecchio debito del defunto consorte e determinato a sconvolgere la sua luttuosa quiete.

A seguire La domanda di matrimonio, che racconta del maldestro tentativo da parte di un Ivan Vasilevic Lomo di chiedere la mano della sanguigna Natalia. Ogni tentativo di far approdare il discorso su un versante romantico viene puntualmente deviato da un battibecco che porta i due potenziali fidanzati a litigare su questioni di principio che poco nulla hanno a che fare con sentimenti diversi dall’orgoglio.

«Čechov anticipa caratteri e temi del moderno teatro novecentesco, l’attenzione talvolta morbosa per il dettaglio psicologico modellato sul tragico quotidiano è uno degli elementi caratteristici del suo teatro» spiega Brazzaventre, anche interprete degli spettacoli assieme a Debora Bernardi e ad Aurelio Rapisarda, il quale riconosce all’autore russo la capacità di «denunciare con semplicità la crisi della società del suo tempo attraverso una drammaturgia fatta di non detti, di desideri inesauditi, di un passato cristallizzato e di un presente insufficiente a soddisfare gli animi dei personaggi».

Uno spettacolo assai godibile nel complesso che, pur rispettando molto i testi originali, ha saputo strizzare l’occhio alla contemporaneità, affrontando temi sempre attuali (parità dei sessi, emancipazione femminile, incomunicabilità uomo-donna) e conferendo ai dialoghi qua e là una componente allusiva molto marcata e decisamente spassosa. Molto indovinata anche la scenografia di Valerio Santi, capace di restituire il contesto di ciascuna storia attraverso un’ambientazione curata ma essenziale.

 

Gianluca Grisolia