Pavarotti – Recensione

Un affascinante essere umano fatto di contrasti, un vulcano creativo che ha conquistato un posto unico nella storia della musica, un filantropo, un padre: è il ritratto di “Pavarotti”, l’ultimo documentario diretto dal regista premio Oscar Ron Howard, presentato in anteprima alla Festa del cinema di Roma e nelle sale dal 28 al 30 ottobre. Soprannominato “il tenore del popolo”, Luciano Pavarotti ha dominato i più importanti palchi del mondo, conquistando il cuore del pubblico: il documentario di Ron Howard, però, ha il pregio di mostrare il lato più umano del cantante, grazie alle rare interviste concesse da familiari e colleghi, a materiale video inedito e un avanzatissimo audio Dolby Atmos.

“Pavarotti” è il terzo di una serie di documentari di Ron Howard dedicati a grandi stelle della musica, sulla scia del pluripremiato “The Beatles: Eight Days a Week – The Touring Years” e di “Made in America”, che ripercorre il backstage del festival musicale di Jay-Z. Per questa nuova avventura tra cinema e musica, il regista ha coinvolto lo stesso team di film-maker che ha lavorato con lui nel documentario sui Beatles: non solo i produttori, Sinclair e Brian Grazer, affiancati da Michael Rosenberg di Imagine e Jeanne Elfant Festa di White Horse Pictures, ma anche Mark Monroe per la sceneggiatura, Paul Crowder al montaggio e Chris Jenkins al missaggio del suono.

Un’opera in tre atti

Proprio come un’opera lirica, anche “Pavarotti” è strutturato in in tre atti: nel primo atto della sua vita, da semplice insegnante trova un successo inaspettato come cantante lirico. Il secondo atto è caratterizzato da un’incredibile notorietà e dalla nascita dei Tre Tenori, mentre l’ultimo atto è quello del periodo di Pavarotti and Friends, quando raccoglieva fondi per associazioni umanitarie a favore dell’infanzia, allargandosi a collaborazioni con artisti di ogni tipo, portando l’opera in nuovi luoghi e a nuovi pubblici, realizzando il suo sogno più grande: fare innamorare dell’opera il maggior numero di persone possibile.

«A ogni occasione si faceva in quattro, che fosse insegnando o viaggiando nel cuore dell’America o della Cina, per mostrare alla gente il potere dell’opera. Perciò personalmente spero che il nostro documentario possa contribuire a portare avanti quel lavoro. Luciano amava così tanto la musica. E amava così tanto la gente. E voleva portare la bellezza della musica a quante più persone possibili nel mondo», ha raccontato il regista che – nonostante sia “solo” al suo terzo documentario – in “Pavarotti” mostra tutta la sua abilità a trattare le storie vere di persone eccezionali, come ha già fatto in “A Beautiful Mind”, “Apollo 13” e “Rush”.

Monica Scillia