Suburbicon – Recensione

Anni Cinquanta: la famiglia Lodge vive nella tranquilla cittadina di “Suburbicon”, nel cuore degli Stati Uniti, dove si trasferisce una famiglia di colore. Tra petizioni di quartiere e staccionate innalzate contro i Meyers, si consuma una tragedia che cambierà per sempre la vita del piccolo Nicky Lodge (Noah Jupe) e che coinvolgerà suo padre Gardner (Matt Damon), sua madre Rose – rimasta paralizzata in seguito a un incidente – e sua zia gemella Margaret (entrambe interpretate da Julianne Moore). Da quel momento in poi, mentre in città sale la tensione, la famiglia Lodge viene travolta da una catena di tradimenti e ricatti.

«Vieni a casa, vieni a Suburbicon!» recita il narratore dello spot che invita a trasferirsi in questo ridente micro-cosmo alla “Pleasantville”, dove tutto lo sporco viene nascosto sotto al tappeto e dove il buonismo cela un’anima profondamente razzista. Diretto da George Clooney e sceneggiato insieme al suo fido collaboratore Grant Heslov e soprattutto con i fratelli Joel & Ethan Coen, “Suburbicon” è un noir vecchio stampo, che mescola commedia e tragedia e mostra una forte connotazione politica, nell’aspra condanna all’intolleranza e al razzismo che tuttora connota l’America di Trump.  La mano dei fratelli Coen – che hanno rinfrescato una sceneggiatura a cui avevano lavorato negli anni Novanta – si riconosce un po’ dappertutto: nell’ambientazione anni Cinquanta – una delle loro predilette (vedi “Ave, Cesare!”) – o nelle strategie criminali più o meno fallimentari alla “Fargo” di Matt Damon, inetto e inadeguato, fino ad arrivare al doppelganger dell’inarrivabile Julianne Moore, capace di oscurare la buona interpretazione dello spietato investigatore assicurativo Oscar Isaac (già scelto per “A proposito di Davis”). Menzione speciale, invece, per il piccolo Noah Jupe, che attraverso il suo sguardo innocente mostra la meschinità che si nasconde nel mondo degli adulti.

“Suburbicon” si piazza esattamente a metà strada tra la vetta toccata con “Le idi di marzo” e il meno riuscito “Monuments Men”: non è il peggior film del Clooney regista, ma non è nemmeno uno dei suoi migliori, proprio perché risente della bipolarità tra la vicenda principale caratterizzata dall’impronta “coeniana” e la tematica razziale più “clooneiana”, che viaggiano su binari paralleli.

 

Monica Scillia