The Post – Recensione

La prima versione della sceneggiatura è stata consegnata sei giorni prima delle ultime elezioni, pensavamo potesse essere uno sguardo nostalgico a quanto lontani fossero quei tempi e a quanta strada, da allora, avessero fatto le donne. Anche perché tutti davano per scontato che avremmo avuto il primo presidente donna. Invece dopo le elezioni si sono moltiplicati gli attacchi alla libertà di stampa e delle donne, forse adesso può ricordarci quanta strada non abbiamo fatto”. Il sarcasmo di Meryl Streep – nel corso della conferenza stampa italiana di presentazione di “The Post” – non lascia spazio a dubbi: la lettura che si darà di questo film sarà principalmente politica e le analogie con il presente non mancano.

Il film però è anche molto altro, riesce a essere molto più denso, di certo molto più del semplice racconto dei “Pentagon Papers”, l’inchiesta giornalistica che nel 1971 rivelò quanto il governo Usa avesse mentito su scopi e andamento della guerra in Vietnam. E’ la storia di come il Washington Post è riuscito a trasformarsi da “giornalino” locale – all’epoca non era neanche il principale quotidiano cittadino – a una delle testate di maggior rilievo nel panorama giornalistico. Proprio con i “Pentagon Papers” – e anche per non cedere all’ostruzionismo dell’amministrazione Nixon – il Wapo getterà le basi per un tipo di lavoro d’inchiesta che porterà poi al Watergate (ma questa è un’altra storia e un altro film). La densità del film si concretizza nel rapporto tra i due protagonisti principali, Meryl Streep nella parte dell’editrice Kataharine Graham, Tom Hanks in quella del direttore Ben Bradlee: è il rapporto tra i due a dare nervi e sangue alla cronaca. “Per la prima volta in carriera ho dovuto dirigere un rapporto tra un uomo e una donna così complesso”, ha confermato Steven Spielberg. Un film che è racconta di una donna di potere in “una società di uomini”, ha detto ancora il regista, che in ben due scene mostra l’editrice attorniata da numerose figure femminili: salendo una scalinata, prima della quotazione del Washington Post in borsa (e subito dopo entrerà in una “stanza dei bottoni” tutta al maschile, come già nel suo consiglio di amministrazione), e di nuovo su una scalinata, ma mentre scende, dopo aver ottenuto la vittoria in Corte Suprema che ha ribadito il ruolo fondamentale della stampa nel rendere conto “ai governati, non ai governanti”.

Una lotta portata avanti con il massimo rischio economico per la Graham, combattuta in prima linea da un direttore che non può permettersi di “essere secondi a casa propria”, come ha rimarcato Tom Hanks citando una sua battuta nel film. L’altra battuta, ma di spirito, Hanks la riserva all’accoglienza avuta negli Usa dalla stampa: “In effetti il New York Times avrebbe voluto che il film si intitolasse ‘The New York Times’”. Il film è stato dedicato alla memoria di Nora Ephron, regista, sceneggiatrice e produttrice: “Lei è stata un’ispirazione per tutti – ha detto la Streep – era mia amica e amica di Tom, questo ci ha portato a lavorare insieme per la prima volta in carriera. Mi piacerebbe fosse qui a commentare questo film e soprattutto questo momento attuale”.

E ancora sulle questioni di oggi, sul ruolo che le donne vogliono e meritano nella società, sull’iniziativa “Time’s Up”, la Streep ha riallacciato la vicenda di Katharine Graham, “che ha imparato a essere coraggiosa, purtroppo noi non lo insegniamo abbastanza alle nostre ragazze”. Eppure oggi “c’è un’aria diversa, non solo a Hollywood, ma in tutti i settori e i luoghi di lavoro”. Un cambio di passo che riguarda “non solo grossi nomi o giovani attrici, ma anche cameriere, impiegate o infermiere. Le donne hanno sempre combattuto contro questi problemi, ma da quando è stata coinvolta Hollywood le cose hanno iniziato a cambiare, la gente ha trovato coraggio, è un momento interessante”.

Una posizione fatta propria anche dal regista, che ritiene “le donne capaci di avere la forza di spezzare gli stereotipi imposti. Durante la seconda guerra mondiale erano responsabili e dirigevano tutti i settori strategici e industriali, dopo la guerra non hanno potuto capitalizzare questo ruolo e sono state risbattute in cucina. E’ una lotta di potere, ma non è un problema delle donne, ma degli uomini che devono imparare a controllarsi e a comportarsi in modo adeguato. Fino a quando non saremo capaci di accettare un no come risposta, allora la lotta continuerà. Spero che il film sia di ispirazione e dia alle donne il coraggio di Katharine Graham, spingendole a venire fuori e a dire ‘cazzo io devo dire questo e questo dirò’” (ebbene sì, anche Spielberg dice le parolacce).

PS

Oggi non ci sono più i faldoni e gli scatoli da ravanare, la maggior parte delle informazioni (da intercettare, contrabbandare, rivelare) hanno assunto una dimensione meno fisica, ma forse più concreta. Fa strano pensare che quasi 50 anni fa Daniel Ellsberg – la “talpa” che rivelò i documenti, interpretata da Matthews Rhys – rischiò di essere incriminato per spionaggio e tradimento: se qualcuno crede che i tempi siano migliorati con amministrazioni più “illuminate”, pensate a Edward Snowden e Chelsea Manning. Oggi i “papers” che vengono alla luce sono ancora più preoccupanti e rivelano molti più intrecci rispetto a quelli del passato – con la coscienza sporca degli Stati che non riguarda solo gli Usa – eppure neanche la loro pubblicazione integrale sembra poter smuovere gli apparati di potere e il sistema capitalistico che li alimenta: troppo affogati nel rumore bianco della sovraesposizione, barchette di carta che navigano nella palude dell’infotainment. Poi ascolti un po’ di discorsi in sala di gente preoccupata di quanto merchandising gratis abbia ricevuto dalle aziende per Natale (in una scala che va da chi si vanta per aver ricevuto pacchi e pacchetti, a chi ipotizza ritorsioni per non aver ottenuto regalie) e capisci che il giornalismo non muore solo per i “poteri forti”, forse è in cattiva salute anche per le pance deboli.

PPS

Non so a voi, ma a me alcuni outfit di Meryl Streep nel film sembrano dei sinceri omaggi al guardaroba di Imma Polese.

SPOILER

Alla fine Nixon perde.

 

 

Kung Paolon