The Ring 3 – Recensione

C’è un video, lo guardi. Quando finisce ricevi una telefonata. Sette giorni dopo, muori. Però se fai una copia del video e ti assicuri che qualcun altro lo veda, ti salvi. Finora. La giovane Julia (Matilda Lutz) non riesce a rintracciare il suo fidanzato Holt (Alex Roe) che è partito per il college, quindi lo raggiunge e scopre che è entrato a far parte di uno strano esperimento diretto da un professore di biologia (Johnny Galecki), che usa il video per dimostrare l’esistenza dell’anima e della vita dopo la morte. Per salvarlo, guarda il video e cerca di ricostruire l’oscuro passato di Samara Morgan a Sacrament Valley, dove la bambina fu sepolta dopo la morte in un pozzo.

Chissà se è solo colpa del passaggio dalla VHS al digitale, ma la maledizione di Samara langue. Se “The Ring” (nella versione giapponese del 1998, ma anche nel remake hollywoodiano del 2002 di Gore Verbinski) aveva rivoluzionato i parametri del genere horror creando una figura iconica come quella di Samara e “The Ring 2” aveva seguito la stessa strada, il terzo capitolo della saga – diretto dallo spagnolo F. Javier Gutiérrez – sembra un patchwork che mette insieme pezzi di altri film (vedi la scena iniziale che strizza l’occhio a “Final Destination”). Il finale resta aperto – arriverà l’ennesimo sequel? – ma il video non fa più paura.

 

Monica Scillia